Un uomo senza qualità

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Robert Musil e la Grande Guerra

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Si crede sempre che quando si è faccia a faccia con la morte
si goda più follemente della vita, la si beva più pienamente…
Non è così. Si è semplicemente liberi da un impedimento,
come da un ginocchio rigido o uno zaino pesante
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Dall’impedimento di voler essere vivi, dall’orrore della morte.
Non si è più in ceppi. Si è liberi. Si è meravigliosamente padroni.

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Quello che segue è un breve viaggio fra eventi ed emozioni della Grande Guerra, rivissuti attraverso le memorie di Robert Musil e il suo particolarissimo modo di leggere e percepire gli uni e le altre.

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Robert Musil, ufficiale dell’esercito austroungarico – fonte: web

Nell’agosto del 1914 Robert Musil si trova a Berlino. E’ un uomo di trentatre anni, di bassa statura, capelli radi, leggermente curvo. Ha l’aspetto un po’ esangue, occhi sottili e palpebre pesanti. Si trova lì perché ha declinato ottime offerte di lavoro nel campo dell’ingegneria per intentare un’incerta carriera da autore e pubblicista. Finora ha pubblicato un paio di racconti e sta scrivendo, senza grande successo, un’opera teatrale. A Berlino lavora per una rivista letteraria e fra i suoi talenti c’è anche la capacità di riconoscere quelli altrui: pochi mesi prima ha incontrato un giovane impiegato di una compagnia assicurativa di Praga, un certo Franz Kafka, e ha cercato di convincere la rivista a pubblicare un romanzo breve dell’autore ancora sconosciuto, dal titolo La metamorfosi.

A fine agosto lui e la moglie Martha sono appena rientrati dalle vacanze estive sull’isola di Sylt, nel Mare del Nord. Il lavoro non gli dà grande soddisfazione, la carriera letteraria mostra chiari segni di stallo e i suoi testi trovano ben poca clemenza sotto il suo sguardo acuto e inflessibile. La guerra e quello che sta accadendo intorno a lui lo affascina e lo spaventa al tempo stesso: “… per la strada tutti fanno ressa per un’edizione straordinaria, che viene letta ad alta voce, e un tram vuole passare piano piano, l’uomo alto, poco meno di trenta, comincia a gridare: Si fermi, le dico, si fermi!, e agita follemente il bastone. I suoi occhi hanno l’espressione dei pazzi. Gli psicotici sono nel loro elemento, si sfogano.

Ma alla lunga anche la sua intelligenza e la sua indole fredda e distaccata cedono all’impeto della trascinante onda emotiva legata all’evento che sta per cambiare il mondo: “La guerra mi venne addosso come una malattia, o meglio come la febbre che la accompagna.

Forte di Gomagoi – fonte: museo civico di Rovereto (web)

Dicembre 1914. Musil è di stanza in Sudtirolo, di guardia al confine con l’Italia, paese formalmente neutrale o alleato, dove però da tempo si vocifera di “reintegrare” le provincie settentrionali, in gran parte di lingua italiana, attualmente soggette all’imperatore di Vienna.

A quattro mesi dall’arruolamento Musil non ha ancora preso parte alla battaglia, anzi, non ha ancora sentito sparare un colpo di fucile. L’evento che più lo ha turbato in questo periodo è stato l’annuncio inatteso e indesiderato che la moglie Martha, di sette anni più vecchia di lui, è rimasta incinta dopo il loro incontro durante una licenza. Nella sua vita non c’è spazio per i figli, pertanto l’ha caldamente invitata ad abortire (ma non ce ne sarà bisogno, Martha perderà il bambino prima che fra i due si giunga a una crisi).

Per il resto nulla. Lui e i suoi uomini (grazie ai precedenti trascorsi come geniere dell’esercito, Musil è già stato fatto tenente) passano gran parte del tempo nel forte di Gomagoi. Il paesaggio con le sue alte cime è magnifico, ma il servizio nel freddo e umido labirinto di gallerie e casematte si rivela monotono e pesante.

Musil scopre ben presto di non essere adatto all’esercito e al comando. E’ individualista e distaccato, critico, ostinato e privo di senso pratico. La sua natura fredda e distante viene facilmente scambiata per arroganza. Oltretutto è circondato da persone che non condividono i suoi interessi: a pochi di loro passa per la testa di leggere un libro, figuriamoci di scriverlo. Diventa sempre più indifferente e apatico, fuma molto. Scia. Non scrive quasi niente.

Dal fronte in Galizia e in Serbia arrivano ben poche notizie che possano definirsi buone. Elenchi infiniti di caduti che suscitano in lui costernazione, anche se sempre al di là di un gelido vetro. Scrive in quei giorni a un’amica: “Gironzolo nella neve, gli sci mi sono praticamente cresciuti ai piedi e sembra avverarsi anche la mia profezia che una così grande distanza dal mondo – perché inizio a notare che ciò coincide con la mia idea di felicità – non possa durare più a lungo”.

La grigia – Immagine di copertina di Alfred Zangerl

Con l’estate, da Gomagoi viene trasferito sull’altopiano di Asiago, a Palù del Fersina (Palai), a qualche decina di chilometri dal fronte.

A fine gennaio ha perso l’incarico di comandante di compagnia: i suoi superiori lo ritenevano passivo, negligente e scontroso, per non dire incompetente. Chiunque si vergognerebbe di una cosa del genere; i suoi genitori, di estrazione borghese, ne sono profondamente scossi. Ma lui sembra averla presa relativamente bene; adesso gli resta più tempo per se stesso. La guerra ha dato alla sua mente, che prima girava a vuoto, qualcosa su cui soffermarsi, sebbene sempre in forma estetica, dato che si trova ancora a distanza di sicurezza dai combattimenti.

E si è fatto un’amante: una contadina nubile della sua età, di nome Magdalena Lenzi, che però lui chiama poco rispettosamente la Grigia, in onore della sua vacca, e sarà protagonista dell’omonima novella. E’ sempre convinto di amare sua moglie: lei è l’elevata, la nobile, l’amore per lei assume una sfumatura estatica, quasi religiosa, ma allo stesso tempo gli consente di liberare le sue “basse voglie” con un’altra donna. La doppia morale della situazione non lo disturba, anzi, è proprio uno dei suoi pregi.

Una mattina, prima dell’alba, Robert osserva le mandrie svegliarsi sui prati intorno a lui. “Giacciono in piacevoli posizioni. Si ha un’impressione tutta particolare di questa loro crepuscolare esistenza di mandrie“. Poi sente il rombo dell’artiglieria. Da qualche giorno è in corso una grande offensiva italiana. I combattimenti più intensi sono sull’Isonzo, lontano da lì, ma anche attorno all’altopiano di Asiago sono in corso degli scontri. Dal suo personale punto di osservazione, tuttavia, gli eventi assumono ancora tinte smorzate: “cannoneggiamento delle fortificazioni di Monte Verena con mortai da 30,5. Lì dove coglie il proiettile s’alza verticalmente una fontana di fumo e polvere, che sopra s’allarga come un pino a ombrello. Si ha una sensazione neutrale, come al tiro a segno“.

Aereo italiano da combattimento SPAD – fonte: web

Il battesimo del fuoco arriva a Tenna, in Valsugana, sempre in Sudtirolo, ma più a ovest: “le colline si stendevano ai nostri piedi come grandi corone appassite; le trincee affondavano nel fogliame; eroicamente bruna, la Valsugana si stendeva davanti a noi, creata da Dio come uno squillo di tromba“.

Siamo nell’autunno del 1915. Nel suo nuovo incarico da aiutante Musil vede la guerra un po’ più da vicino e il servizio è più pesante. Inizia a fare una certa fatica a mantenere la sua fredda distanza rispetto a tutto ciò che succede (“Le battaglie, i morti eccetera che si sono avuti davanti alle postazioni non mi hanno fatto finora alcuna impressione“).

Si trova vicino a un forte sul versante destro del lago Caldonazzo, quando vede qualcosa in cielo: “Un aeroplano scivolava stupendo nell’aria con le ali tese. Il lato inferiore della loro superficie era dipinto con i colori italiani rosso-bianco-verde e il sole vi passava attraverso come dalle vetrate di una chiesa. ‘Ammirare questo spettacolo – pensai – ha poco a che fare con lo spirito; ma com’è bello!’ Nello stesso istante, mentre estasiato guardavo fissamente in alto, mi balenò il pensiero che noi lì, un gruppo di soldati gli uni accanto agli altri come spettatori alle corse, dovevamo offrire all’uomo dell’aeroplano un attraente bersaglio. L’attimo successivo sentii un suono lieve. Ma naturalmente può anche essere stato il contrario. ‘Ha lanciato una freccia – pensai – [una di quelle frecce volanti che nell’epoca della armi automatiche sembrano arcaiche in modo quasi commovente, ma che, pur non essendo molto più grosse di una matita, trapassano un uomo dalla testa alla pianta dei piedi]’. Un rumore come di vento che fischia o che stormisce. Che diventa sempre più forte. Il tempo ti pare assai lungo. D’improvviso s’infilò nella terra immediatamente accanto a me. Come se il rumore venisse inghiottito. Non ricordo nulla di uno spostamento d’aria. Non ricordo nulla d’una espansione improvvisa e vicina, Però dev’essere stato così poiché istintivamente trassi il mio busto di lato e, tenendo i piedi fermi, feci un inchino abbastanza profondo. Ma nessuna traccia di spavento, nemmeno di quello puramente nervoso come il batticuore, che solitamente viene con uno choc improvviso, anche senza paura. – Poi sensazione assai piacevole. Soddisfazione di aver avuto questa esperienza. Quasi orgoglio; accolto in una comunità, battesimo.

A novembre viene trasferito in treno verso il fronte dell’Isonzo; il temutissimo, insanguinato fronte dell’Isonzo.

Da dieci giorni è in corso una grande offensiva italiana, la quarta dell’anno. Come nelle precedenti, l’esercito italiano ha messo in campo tutte le risorse di cui dispone per provare a sfondare la linea austroungarica sul fiume, senza badare a perdite e a strategie della tecnica moderna. La battaglia per conquistare Gorizia si è trasformata in una cieca guerra di logoramento della peggior specie, che ingoia enormi quantità di soldati e materiali.

Arrivano due ordini secchi: “Battaglione allarme” e “Imbarco sulla tradotta“.

Robert Musil, pallido ed eccitato, trascrive le impressioni di quel caotico imbarco: “Durante la lunga attesa si allontanano non notati ora questi ora quelli, la sera una gran parte della truppa è allegra, alcuni totalmente ubriachi. Il comandante di brigata con lo stato maggiore, alla stazione, tiene un discorso. Nei vagoni c’è un rumore da serraglio. Gente normalmente per bene si comporta come bestie. Le buone parole e le minacce non servono a niente. Facciamo chiudere le porte scorrevoli. Dall’interno vi tambureggiano contro con i pugni. Dietro qualche porta c’è chi fa resistenza di nascosto. Il tenente Von Hoffingott, che esegue la chiusura, grida Via le mani e allo stesso tempo colpisce con il coltello da caccia le mani nascoste… Questo movimento del coltello da caccia era indescrivibile. Come una tensione che si scarica in un lampo; – ma senza scintillii, balenii o cose del genere – qualcosa di bianco, di decisivo…

Il treno viaggia lentamente verso est per raggiungere il fronte dell’Isonzo. Passa per Bolzano, Martha si trova lì in quel momento, ma Robert non può fare nulla per contattarla o provare a vederla, anche solo per un breve saluto (“Indegna impotenza. Interno ululare come un cane“). Arriva infine a Gorizia: “Già durante l’ultima parte del viaggio vivace attività degli aviatori. Al momento della discesa tutt’intorno fuoco di cannoni – L’orizzonte rimbomba – Lunghi gruppi di feriti sui carri e a piedi. Fasciature bianche con chiazze rosse. Un vortice si impadronisce di te, un’eccitazione che ti assorbe“.

Ospedale militare della prima guerra mondale – fonte: web

Fu un inverno duro. Musil uscì indenne dalle tre settimane che il suo battaglione passò sull’Isonzo, aiutato dal fatto di ricoprire il ruolo di aiutante del comandante. Ma i cannoneggiamenti italiani lo provarono e cercò in tutti i modi di andar via da lì. Grazie ai suoi contatti ottenne un trasferimento nelle retrovie, dove fu ingaggiato nell’arduo compito di costruire e assicurare le comunicazioni con la Valsugana per l’inverno. Lì i nemici erano due: gli italiani e le valanghe; queste ultime, talvolta provocate dai primi, causarono il maggior numero di vittime.

Musil però incappa in una grave infezione alla bocca e alla gola, in poco tempo perde molto peso, è debole e cade in depressione. Finché viene messo su un treno per Insbruck con la febbre altissima. All’arrivo lo scaricano a braccia, da come lo guarda la gente che lo circonda capisce di essere messo molto male.

Ma le cure in ospedale non producono l’effetto sperato. Anzi, una terapia contro la sifilide, di cui Musil aveva sofferto in passato, peggiorano la situazione. Viene internato a Praga.

Dalla Polonia giorni, notti, notti, giorni; un vagone merci con posti a giacere porta i feriti gravissimi, che si teme non arriveranno vivi. Un uomo con una grave ferita da fuoco ai polmoni e uno cui è stata fracassata una gamba all’articolazione dell’anca intrecciano dialoghi eristici. Uno è tirolese, l’altro viennese. Il viennese afferma che i tirolesi in guerra non valgono niente, il tirolese si scalda. Il viennese con la ferita ai polmoni lo becca in continuazione. Spesso deve ridere tutto il vagone. Così le piccole cose distraggono perfino dalla morte. All’arrivo il viennese è morto…

All’improvviso arrivo in ambulatorio. Cinquanta persone nella stanza non grande. Medici e infermiere in camici bianchi, malati nudi, seminudi, vestiti. Piedi congelati, coccigi scoperti. Tronconi femorali, braccia amputate, intorno a chi giace nudo un precipitarsi avanti e indietro, un afferrare strumenti, uno spennellare di mani femminili, quasi una varietà di pittura accurata, uno strascicar fuori, un portar dentro…“.

Soldati austriaci leggono Soldaten Zeitung – fonte: web

Passano le settimane, i mesi. Musil si riprende e guarisce.

Nel luglio 1916 si aggira per le stanze di un albergo a Bolzano. Ancora una volta, grazie ai suoi contatti, ha ottenuto un incarico sicuro lontano dal fronte, per di più adatto alle sue inclinazioni naturali: è entrato a far parte della redazione della rivista militare Soldaten-Zeitung. A fronte della sempre più grande stanchezza e disillusione per un conflitto che inizialmente si pensava dovesse esaurirsi un pochi mesi, lo stato investe in opere di convincimento e propaganda. La rivista, la cui redazione dipende direttamente dal comando d’armata sudtirolese, dovrà fugare ogni dubbio sull’unità austroungarica e sulla stasi o inconcludenza delle operazioni al fronte.

Il 26 luglio esce il suo primo articolo. Anonimo, basato su esperienze riferite, descrive un attacco a una postazione italiana portato a termine con successo.

L’artiglieria cominciò a testare il terreno con lunghe dita; alle 10 del mattino attacca il suo coro ed hanno inizio i tiri d’efficacia; le prime linee di fanteria escono dalle macchie e dalle pietraie, scompaiono, il terreno comincia a pullulare della loro presenza, si riempie di qualcosa d’impercettibile, inquietante.

Ed ecco che il nemico risponde. Artiglieria pesante di fianco; cannoneggiamento rabbioso di batterie rimaste in silenzio fino a quel momento. Impossibile mettersi al coperto, non si saprebbe in quale direzione; ogni tentativo finisce ben presto per stancare, e dopo un po’ non ci si pensa più. Pesa sui cuori l’odiosa assurdità, ben nota a tutti, del sentirsi sparare addosso da lontano. Dagli indumenti fattisi caldi evapora l’umidità della pioggia notturna. Le perdite non sono pesanti; molto più pesanti sembrano essere invece i piedi di piombo che ciascuno strascica avanzando; non c’è nulla che possa impedire nemmeno per un istante il loro procedere.

Poi la salta si fa più dura; comincia un terreno ghiaioso e cosparso di macigni; gli uomini avanzano aprendosi a stento un varco attraverso un bosco di giovani piante. Ed ecco – le pattuglie avanzate sul fronte di combattimento distano 20-30 passi, la prima linea appena 300 dalle postazioni nemiche, ben celate e protette da filo spinato – scatenarsi un micidiale fuoco di fanteria. Ha l’effetto di una liberazione, come un bagno intravisto dopo una marcia in mezzo alla polvere. Gli uomini non si possono più trattenere; come nell’atto di spogliarsi gli zaini volano a terra, ed ha inizio un’impetuosa avanzata. Di albero in albero, di riparo in riparo; ufficiali in testa.

In un attimo sono davanti ai fitti reticolati, e i volontari fanno ressa per l’operazione che richiede il più sublime spirito di sacrificio: aprire con le pinze, sotto il fuoco ravvicinato del nemico, un varco tra il filo spinato.

Il primo scaglione è falciato dalle mitragliatrici, altri si fanno immediatamente sotto. Un soldato, colpito al petto, si piega sulle ginocchia e continua a lavorare finché non è raggiunto da una pallottola mortale alla testa; un altro si apre una breccia col calcio del fucile, un terzo con la vanghetta. Gli altri fanno tutto ciò che possono per neutralizzare il nemico. Intanto sono venute avanti anche le nostre mitragliatrici, che cominciano a entrare in azione. Il combattimento langue per qualche minuto. Il nemico spara all’impazzata aprendo varchi sanguinosi nella massa. Si fa intervenire la riserva di prima linea. Una forza irresistibile catapulta la prima ondata di uomini nella posizione.

Il più sublime spirito di sacrificio“? Che Musil, nella comfort zone della sua scrivania, abbia ritrovato l’impeto e la fiducia dell’agosto 1914? Improbabile. Inoltre, ha avuto modo di toccare con mano l’ottusa e insensata burocrazia che guida gli sforzi bellici dell’Austria-Ungheria (da lui ribattezzata kakania nelle lucide e caricaturali narrazioni degli anni a seguire). Sembra piuttosto essersi creato un’esistenza parallela nella quale disprezza il personaggio, l’avatar fedele al regime che dà fiato alla propaganda di cui sopra. Una cifra, questa, che caratterizza da sempre la sua esistenza di uomo, di pensatore, di scrittore.

Passano altri due anni. Nel novembre del 1918 la guerra per Robert Musil si conclude senza particolari clamori, a Vienna, all’Ufficio propaganda, dove continua a lavorare malgrado l’esercito in cui prestava servizio sia stato smobilitato e abbia iniziato a disgregarsi, come l’intero impero caduto.

Si trova ancora lì per motivi economici: per vivere lui e Martha hanno bisogno di quello stipendio. Robert indossa abiti civili e siede in una stanza simile a un corridoio, arredata con file di tavoli, dietro una scrivania oblunga che pare rimpicciolirlo.

Ha l’aria dimessa, anche se in realtà, volendo ben vedere, c’è una grande novità: sull’onda delle esperienze degli ultimi anni, ha ripreso a lavorare a quello che si rivelerà uno dei più singolari progetti letterari del ventesimo secolo, L’uomo senza qualità. Quando un suo amico gli chiede cosa diavolo ci faccia in quell’ufficio, adesso che la guerra è finita, lui lo fissa per un istante e si limita a rispondere: – Dissolvo.

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Testi e informazioni riportati in questo articolo sono stati tratti da:

  • La bellezza e l’orrore, Peter Englund, Einaudi, 2008
  • Diari 1899-1941, Robert Musil, Einaudi, 1980
  • Funerale in un villaggio sloveno, in Pagine postume pubblicate in vita, Robert Musil, Einaudi, 1970
  • Racconto di un soldato, Strani patrioti, Testamento, in La guerra parallela, Robert Musil, Reverdito, 1987

L’irreale diventa reale. Un’illusione d’amore.

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E. Schiele, “Abbraccio” – web

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Quando ti si ascolta – interruppe Agathe il fratello con un rimprovero che tradiva la sua partecipazione interiore – allora si dovrebbe pensare che la persona reale non si ama realmente, e la persona irreale, realmente!

Proprio questo ho voluto dire, e qualcosa di simile ho anche sentito da te.

Ma in realtà le due persone sono infine una sola! […] Forse anche la persona reale diventa del tutto reale solo nell’amore? Forse prima non è completa?

[R. Musil, da “L’uomo senza qualità”, romanzo incompiuto]

Musil e la “romantica” ricerca di una soluzione all’eterno dilemma esistenziale, rappresentata nell’amore “impossibile” fra fratello e sorella (Ulrich e Agathe nel romanzo).