L’aria è pungente
all’ombra del tetto.
Un’alba di piccole stelle
mi accompagna al confine
di un universo giardino.
Anche il rosmarino s’è ornato
di un velo bianco celeste.
In questo tempo spietato
Madre Natura non indugia
la sua mano, deliberata
aggiunge e rimuove
come meglio crede.
D’un tratto, il silenzio.
La frenesia sui rami
cede il passo a un fruscio.
Poi un grido, inumano.
Raddrizzo la schiena.
Un carro funebre scivola piano
sotto il mio sguardo sospeso.
Poi l’urlo, di nuovo
da una finestra spalancata.
Voce di donna, straziante
che irrompe, atterrisce.
Una sola parola
la stessa
lacerata.
La prima.
Di fame, sete
rabbia
disperazione.
D’amore.
L’ultima.
In un feroce addio.
[P.B., 4/4/2020]
L’altra mattina, poco lontano da qui, il conducente di un carro funebre, per gentilezza, ha fatto una deviazione sul tragitto verso il cimitero, per passare sotto casa della figlia di una donna morta di Covid-19, affinché la vedesse, anche così, a distanza, un’ultima volta.