A me piace far rivoltare gli scrittori nella tomba. Per sicurezza, me la prendo con i morti. Oggi tocca ad Ernest. Il suscettibile, l’irascibile Ernest (me lo immagino così). E’ suo il brano che, facendo di virgole a capo, trasformo da prosa in poesia. Per gusto mio, perfettamente consapevole di travisare e bestemmiare entrambe. P.
Ora, a guardare dal corridoio fra gli alberi al di sopra del valloncello
il cielo percorso da nubi bianche spinte dal vento
amato tanto questo paese da sentirmi felice
come ci si sente quando si è stati con una donna che si ama veramente
quando, svuotati, lo si avverte che rinasce e gonfia su di nuovo
è lì e non si potrà avere del tutto
ma pure quel che c’è ora si può avere
e se ne vuole sempre di più
per averlo ed essere e viverci dentro
per possederlo ora e di nuovo
e per sempre
per questo lungo e così rapidamente terminato “sempre”:
e il tempo diviene immobile
tanto immobile talvolta che, dopo
ci attendiamo di sentirlo a muoversi
ed è così lento a ripartire.
Ma non si è soli
perché se hai amato davvero con felicità e senza tragedie
essa ti ama sempre.

[Ernest Hemingway, da Colline Verdi d’Africa, a cura di Fernanda Pivano, ed. Mondadori]