Domenica per me

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Non so voi, ma io lavoro come un matto tutta settimana. Giornate da dieci, dodici, quattordici ore. Venti minuti di pausa, forse, passati in piedi accanto alla scrivania, giusto per non guardare il computer, masticando un panino, che adesso col lockdown non si può nemmeno scendere al bar. La sigaretta è un toccasana. E’ una vita di merda, sempre sotto pressione. Scadenze, nuovi lavori da prendere, offerte da chiudere, decine di mail da inviare o cui rispondere. Si vive alla giornata, non giorno per giorno. Solo la sera, o la mattina, prima delle otto, si può ragionare. Sta storia del virus sta peggiorando le cose: siamo meno liberi di prima, più sfruttabili di prima. Un giorno ci attaccheranno un catetere e ci inietteranno la fisiologica, così non ci dovremo più nemmeno alzare dalla sedia. Chissà come faranno con gli escrementi… Ah, ma una soluzione la troveranno di sicuro!

E’ così che la domenica – quelle che non passo in ufficio a recuperare gli arretrati – vengo assalito da un’ansia diversa e altrettanto paradossale. E’ l’ansia di leggere, scoprire, gustare, scrivere, condividere. Apro dieci testi diversi, uno dopo l’altro, passando da uno all’altro compulsivamente: libri, riviste, post, racconti… Metto mano ai miei lavori e alterno lettura e scrittura con bulimica frenesia. Godo, ma fino a un certo punto. Accendo il computer, leggo i blog, guardo il cellulare, ricevo e mando mail e messaggi. Insomma, mi incasino di nuovo. Ammetto che i social, le loro contaminazioni, le loro distrazioni, non sempre mi aiutano a fare ordine, a dare le giuste priorità, né forse ad essere veramente creativo. Mi serve staccare. Scrivo molto meglio mentre cammino in un bosco.

Ieri sera mi viene letta una breve citazione tratta dai diari di Etty Hillesum, che, rapportata ai tempi in cui lei li scriveva, mi ha dato parecchio da pensare. Riflettendo – e approfondendo – però, ho rivalutato la vivida e parossistica curiosità, letteraria e filosofica, della mente dell’Autrice e mi sono dato delle risposte. Non c’erano i social o altre forme di “distrazione”, c’era più tempo per fermarsi a pensare, e tuttavia la fame di conoscenza e l’urgenza di soddisfare il proprio bisogno su molti fronti e da più fonti contemporaneamente, sì. Le parole che seguono ne sono una testimonianza. Sta a noi, soltanto a noi, dunque, imparare a far buon uso degli strumenti che abbiamo e a godere delle possibilità che essi ci danno.

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La scusa è sempre la stessa: non ho tempo, ho troppo da fare. Ma l’unica cosa a cui si approda è l’irrequietezza. Non si può permettere al silenzio di svilupparsi appieno, ma bisognerebbe gioire almeno dei brevi momenti di calma e introspezione che sempre più spesso si insinuano nella mia quotidianità. Per pura impazienza, invece, inciampo di continuo in quei brevi intervalli di silenzio, e mi accontento troppo in fretta illudendomi di riuscire ad ascoltarmi dentro; adesso, però, dopo settimane, non appena mi fermo a riflettere che questa mattina è tutta per me, mi rendo conto di quanta impazienza e quanto “vivere giorno per giorno” ci sia ancora in me.

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La mia pazienza deve crescere ancora. Ne ho già conquistata abbastanza per aspettare quello che verrà, per avere fiducia che qualcosa verrà. Non so se avrò la pazienza di camminare per ore da sola attraverso un paesaggio solitario, di vivere da sola per settimane in un villaggio di pescatori sul mare, paga dei miei pensieri. Non ho ancora abbastanza pazienza per occuparmi di fiori, ascoltare musica, guardare dipinti e leggere la Bibbia. Tutto questo devo ancora impararlo, e va imparato per un’intera vita. Credo però di essere all’inizio. E ogni tanto sopraggiunge una grande pazienza, quella che alla lunga sarà la sorgente interiore da cui potrò attingere per il lavoro creativo. Ma sono sicura che quella pazienza sarà ancora interrotta, sul più bello, da una tensione; devo imparare a raccogliere tutta la pazienza che c’è in me, mettere insieme tutti i frammenti di pazienza per formare un’unica grande pazienza. […]

Santo cielo, questa scrivania somiglia proprio al mondo nel primo giorno della creazione! A parte gli esotici gigli giapponesi, il geranio, le rose tee appassite, le pigne che sono diventate reliquie, e una ragazza marocchina dallo sguardo animalesco e limpido, ci sono in giro sant’Agostino e la Bibbia e le grammatiche russe e i dizionari e Rilke e innumerevoli piccoli taccuini, una bottiglia di surrogato di limone, carta per scrivere a macchina, carta copiativa, Rilke, cioè ancora una raccolta, e Jung. E tutto questo è solo ciò che si trova in giro al momento, ci sono anche gli ospiti fissi della scrivania, appoggiata contro il muro. E la cosa più straordinaria è che c’è ancora spazio per me e per il mio quaderno.

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[Etty Hillesum, Diari 1941-1943]

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Ed eccomi qui a scrivere e trascrivere questo post, interrompendo una lettura che denota un’animosità intellettuale fuori dal comune, farcendola del mio vissuto con l’urgenza di farne presto pagina di un mio anomalo diario, aperto sul mondo, per una possibile condivisione.

Diavolo, son già quasi le sei!…

P.