di Melchiorre Livoti

I libri ti chiamano.
Così, grazie all’emozione suscitatami dalla suggestiva immagine di copertina, ho scoperto China nel vento, silloge di Melchiorre Livoti (Terra d’ulivi edizioni, 2020).
Le foglie rosse di Elio Scarciglia, autore della fotografia, mi hanno attratto subito. Non sapevo il perché, l’ho capito leggendo le poesie di Livoti.
Osservando la copertina avevo inteso si alludesse all’inchiostro (china) di parole scritte e gettate, disperse nel vento (blowing in the wind), ma qualcosa non tornava.
Le foglie, così rosse, rutilanti, a contrastare lo sfondo neutro, nerissimo.
Il loro calore, colto da una luce artificiale, quasi orizzontale (non un vero tramonto); un colore vivo, che fiammeggia di suo e nulla deve al mondo, annullato e vuoto, che lo circonda.
Foglie pendenti, chine, ma non arrese.
Foglie vivide, rosseggianti, passionali ancorché crepuscolari.
Leggendo i versi di Livoti ci si accorge che l’inchiostro scorre come linfa vitale nelle loro nervature. Solo qualche macchia sui lembi le fa simili a pelle livida, inducendo a pensare che sia ormai prossimo il momento della caduta.
Ma è l’ora della riflessione, della melancolia, sentimento caldo e buono se attraversato in tutta la sua portata di senso; è il momento in cui chi, come l’autore, dotato di animo sensibile e acceso, può rivivere il tragitto di una vita con la medesima intensità con cui vi ha mosso ogni passo; è l’istante immortale della creazione poetica, della parola, non più inutile e spazzata dal vento, della parola che guida i sensi, a far credere che non sia così.
Melancolie
Serti di parole
avremo da quelle labbra
mai sfiorate,
non anche i petali
per ricomporre la rosa
della nostra giovinezza?
E la sera si dissolve
nel dire suo
con l’armonia dell’attesa:
vicino fiore
dai profumi delicati
nella malia del giungere
della notte:
timida ancella
di sogni mai perduti.
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Perché l’età?
Cerchiamo il fuoco
talvolta, ci ritraiamo;
nel calore improvviso
troviamo la parola,
nel suo svanire
la quiete del raccontare
ignari di sé
non dei silenzi cullati dalla nostalgia
di essere stati vento
e ora come fronde raggiunte
dalle luci ultime
del tramonto inatteso.
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La poesia di Livoti, come dice Gianni Mazzei (cfr. Menabò, n. 5, Terra d’ulivi edizioni), ha la dote affatto scontata della “semplicità”, che è altro dal “semplicismo”: è l’arte del saper rendersi chiaro, affabile alla comunicabilità della parola, essenziale, senza orpelli e scorie.
Addio
Non andare!
Disse
una foglia a un’altra
color d’oro.
Ma partì.
La vide volteggiare
arrivare al suolo.
Provò tristezza
la foglia sull’albero
pensando all’addio
avanzò la bruma
stillò acqua dal cielo
ed essa rimase sola in cima.
Dover partire e non avere
nessuno cui lanciare
china nel vento
un addio!
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Ogni poesia accompagna con delicatezza il lettore, lo sguardo disincantato e al contempo innamorato di tutto ciò che ancora può avvicinare.
Scrive di sé Livoti:
Ho vissuto la giovinezza tra cieli e mari, visioni di colli illegiadriti dalla primavera. Dal ricordo ammaliato, talvolta, permetto che la melancolia mi raggiunga, e mi volgo allora con dolcezza a figurare un volto di fanciulla che i colori dell’aurora possegga, e l’animo abbia dei cieli colmi di quell’azzurro che è segno di eternità.
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E’ commovente e seducente questo rapporto con la memoria e il proprio vissuto, in cui la nostalgia si mescola al sogno.
Il lume
E’ mano di fanciulla
che accende un lume
di sera nella casa
tra gli ulivi mormoranti,
o il silenzio pensoso
in cerca della verità
di un uomo in pace
col tempo e con il vento?
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Melodia e nostalgia
Ci sono anime che hanno
stelle azzurre
mattini lucenti
tra le foglie del tempo;
e angoli casti
che conservano un antico
suono di nostalgia
e di sogni.
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La giovinezza
A centellinare il tempo
mi ritrovo
la fuga temendo
il ritorno
dei ricordi leggeri
or che sui rami
primavera appone
i fiori suoi,
indomita aleggia
disdegnando i clangori
non le parole
come carezze sul volto
della giovinezza lieve:
incantata fanciulla
senza tremori
senza attese
con tra le mani ardenti
i prodromi del domani.
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