Il castagno della Mann

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Il castagno della Mann, Fausto Rota, Albatros Ed.

 

Conosco Fausto di fama da molto tempo, come la maggior parte di giocatori e allenatori di pallavolo della provincia di Bergamo, e non solo. Posso dire di conoscerlo un po’ più da vicino da due anni, sempre per via della pallavolo giocata e allenata, e non solo.

A fine 2018 è stato pubblicato “Il castagno della Mann“, il suo primo libro. Se lo definissi un romanzo, sbaglierei; se lo definissi un’autobiografia, pure. Se lo definissi una cronaca o un annuario, commetterei un errore enorme. Sono convinto che questo libro nasca d’istinto, come un atto voluto e dovuto, necessario.

Conoscendo l’allenatore e – azzardo – l’uomo, leggerlo è stato estremamente interessante, avvincente, stimolante e allo stesso tempo limitante. A volte avrei preferito pensare di leggere le avventure di un personaggio di fantasia, godendo appieno della potenza narrativa e immaginativa racchiusa nelle pagine del libro. Invece Fausto è Fausto, Maura è Maura, Annalisa è Annalisa, Marco è Marco, e così via per decine e decine di persone e personaggi che sulla pagina si muovono da protagonisti o semplici comparse, molti dei quali ho conosciuto personalmente (c’è mancato poco che popolassi anch’io la folta schiera). Niente fiction quindi – non so se sia del tutto vero…, ma tantissima vita e umanità, quella che ha attraversato e anima tutt’oggi i giorni dell’Autore.

Il castagno della Mann” è un libro che non segue uno schema, non appartiene a un genere, né può essere imbrigliato in una definizione o categoria. Conoscendo l’Autore mi chiedo: come avrebbe potuto? Come la vita il suo libro è pieno di mutamenti, sorprese, vittorie e sconfitte, tragedie e riscatti. Come la vita è scandito da innamoramenti, amori, imprese, soddisfazioni, delusioni, nascite e morti. Detta così suona estremamente banale, ed è vero: le mie parole sono assolutamente banali. Quelle di Fausto, che originano da un vissuto che a tratti (lui direbbe “ciclicamente”: con cabalistica precisione ogni dieci anni) ha toccato picchi di drammaticità altissimi, non lo sono affatto. Come Fausto racconta l’amore (mi sovviene la narrazione della sua “prima volta”), ma dovrei dire dell’ “innamoramento della vita”, come Fausto descrive lo strazio nel veder annientare dalla malattia quella del fratello maggiore, o del padre; come Fausto riesce a mettere al proprio posto il lettore nell’interpretare la sua stessa battaglia per sopravvivere a un incidente mortale, ebbene, non è affatto banale.

Nel suo libro Fausto Rota si definisce un Allenatore, “solo” un Allenatore. Non provo nemmeno a dire che genere di allenatore sia; la pallavolo, che pur infarcisce gran parte del libro e da cui probabilmente esso trae origine, la lascio fuori. Io, dopo averlo letto, definisco Fausto (o il suo personaggio) un uomo da sempre votato alla libertà e all’autodeterminazione; un volitivo, un ribelle (“la mia mente è una lavagna su cui si sta scrivendo con le unghie, all’aperto, mentre piove a dirotto“), un condottiero autorevole e autoritario, un giovane incosciente ed esuberante, il cui corpo coperto di cicatrici è di per sé dichiarazione d’intenti e testamento; un adulto ancor più incosciente, perché consapevole, ma autentico e altrettanto intraprendente (“la vita è un piacere intenso e disordinato da vivere senza fiato, senza contratti da rispettare“), un indomito, un sopravvissuto; un motivatore, un oratore, un narratore… Un bravo scrittore.

A quest’uomo scrivere “Il castagno della Mann” ha dato l’occasione per rappresentare non solo se stesso, le sue vicissitudini  e quelle della sua famiglia, ma la vita di una generazione di giovani dell’alta Val Brembana (prov. di Bergamo), “rustica e di campagna“, la grande, innata, travolgente passione per lo sport, l’agonismo, l’attaccamento alla vita, che è continua prova e avventura, intrapresa sempre con grande entusiasmo, la voglia di superare e vincere ogni difficoltà, le innate risorse di cui ogni essere umano dispone per provare a farlo. Le sua pagine divertenti, coinvolgenti, commoventi, strazianti testimoniano soprattutto questo.

Ma non solo. Nelle sue pagine Fausto canta la vita vissuta intensamente senza premeditazione né obiettivi, se non quello di dare il massimo di sé per poi raccoglierne i frutti, qualsiasi essi siano (spesso con stupore e soddisfazione sinceri). Narra con estrema efficacia e tensione la fatica di accettare la sconfitta più grande e incomprensibile come la perdita di una persona cara. Avvince con l’esperienza della rinascita e del riscatto. Ma ci lascia anche altro, qualcosa che definirei sotterraneo e immanente, e azzarderei a definire uno dei principali motori che hanno originato la scrittura del suo libro. Il ritratto di un uomo che, superati i cinquant’anni, ricordando si interroga su cosa avrebbe potuto fare di più, di meglio, di diverso, ma anche su quale sfida avrebbe forse dovuto evitare e sul costo che in termini di sentimenti e relazioni umane il proprio modo di essere, le proprie scelte da sempre hanno comportato. Questo esame di coscienza, questa forma di autocritica, schietta ma tardiva, accompagna il lettore dalla prima all’ultima pagina, senza dare risposte, sentenze o assoluzioni, semplicemente ponendo il dubbio, pur nella consapevolezza che un uomo così non cambia, né torna mai indietro.

[P.B., 24/8/2019]