Una poesia di Antonio Bianchetti

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Il 14 aprile ci ha lasciati prematuramente Antonio Bianchetti. Una persona, un poeta, un appassionato cultore dell’arte in tutte le sue forme e contaminazioni, che ho avuto modo di incontrare almeno una volta di persona, abbattendo le distanze della frequentazione nel web, dando così un volto alla sua presenza, al suo pensiero. Non mi sento titolato a parlare di lui. Posso solo dire che mancheranno, anche qui, la sua animosa e scrupolosa ricerca, la sua profondità, la sua capacità di alzarsi in volo, la sua generosità, il suo sorriso.

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PIOGGIA GELIDA

Lamento di un pupazzo di neve

Non posso che assimilare torture
mentre il tempo spacca il silenzio
luce divelta dalle urla
paragoni che si intrecciano
sul viso sfatto
lacerato dai tagli delle chiacchiere
come se il passato
fosse solo un’invenzione

La decomposizione delle forme
aumentava le paure
che più profonde ho colto

trasfigurate come sagome di facce
nei luoghi aperti dell’immobilità

nei deserti chiusi dove ognuno
ha una colpa da nascondere
Ma
è alle sue origini
che voglio tornare
degustando la vertigine che affiora
e che ormai
troppo spazio ha aperto
Eppure
ogni mattina mi adagio
a rintracciare echi
di inganni e di massacri

a sciogliere
insieme alla mia pelle
voci confuse e note
e bombe termonucleari
dentro alla chiusura di una palpebra
Tra tutte le voci del giorno
lento svanirà
il solitario tormento

fioco monologo perduto nell’alba
pronto a lacerare la prossima luna

grido mannaro
che ripopola gli squarci
come se l’acqua fosse
un rigagnolo di sangue

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[da “Esilio di sicurezza”, di A. Bianchetti, C. Stenardi, M. Isola, 2008]

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