Si schianta silenzioso
l’ultimo filo d’erba.
Già arida, la terra
prosciugata
non s’ingravida più.
La grazia è tumulata,
sepolta.
Smarriti i giorni della misericordia.
[I.P., 3/8/2018]
Si schianta silenzioso
l’ultimo filo d’erba.
Già arida, la terra
prosciugata
non s’ingravida più.
La grazia è tumulata,
sepolta.
Smarriti i giorni della misericordia.
[I.P., 3/8/2018]
Non ti arrabbiare se mi sento di rispondere, proprio io che non sono un mostro d’ottimismo, con le parole di Clarissa Pinkola Estes: “Il seme nuovo e fiducioso si radica nel profondo, nei luoghi che sono più vuoti.”
(“è fiducioso” ovviamente, mi ha tradito un “copia e incolla”)
Perché mai dovrei arrabbiarmi?
Queste parole, ancorpiu’ citate da te, mi scaldano il cuore.
Grazie
È così 🙂
Bella!
Vera ma…vi aggiungerei qualche speranza: i semi sanno risvegliarsi anche nella terra più arida; aspettano che la misericordia si ri.trovi.
Le tue parole, il tuo sentire sono in linea con quelli di “Tullio”. E con i miei. Do spesso spazio, qui nel blog, a visioni più o meno crude, più o meno pessimistiche (o semplicemente realistiche). Non è sterile autocommiserazione. Direi piuttosto, un doveroso atto di cronaca, o di testimonianza. Forme di prese di coscienza. Sempre e comunque, per me, e non solo per me, un punto da cui partire, evolvere. O almeno pensare e sperare di riuscirvi.
PS. Fino a prova contraria, il sottoscritto è definito un po’ da tutti un “irrimediabile ottimista”. Hai presente quelli che si alzano la mattina sempre di buon umore, sorridenti, espansivi, ciancerini, che ti fanno pure incazzare?
Si, ho presente e concordo su quanti ti definiscono “irrimediabile ottimista” poichè è un atteggiamento che si nota immediatamente
Ho percepito la poesia come un triste, tristissimo specchio del quotidiano vivere, che viviamo. La voce del poeta che canta questa difficoltà, la mancanza totale di empatia e di amore per il prossimo.
Ma non è così…forse è esattamente l’opposto solo che, cosa grave…tutto ciò è silente.
Le persone, io..tu noi loro essi…dovrebbero svegliarsi dire la loro: scendere nelle piazze: tenere sveglio il senso di comunità, delle cose importarti da tenere in considerazione.
La sanità, il lavoro che è dignità, eguaglianza sociale…sono temi fondamentali.
Un’interessantissima (e nobile) interpretazione la tua, che passa da qualcosa di estremamente intimo, personale e unico, all’universale, ad un senso di comunione e comunità. L’individuo e le sue pene, solitarie e silenti, come paradigma di una società complessa, poliedrica, multiforme, ricca… infinitamente molteplice, ma altrettanto disgregata e dispersa, centrifugata in un numero indefinito di individualità che non comunicano, se non attraverso filtri (digitali per lo più), monitor e display.
Mantenere e preservare anche solo la capacità di approcciare, rompere il ghiaccio e la barriera del silenzio. Nel più quotidiano. Basta anche solo una parola…
telefoni a te stesso e trovi occupato…
Esatto. Un loop perfettamente architettato dai tuoi neuroni – e prima ancora dai tuoi geni, che, se si organizzano bene, ti si arrotolano anche intorno al collo…
(ciao Flavio, ho scoperto solo oggi un altro tuo commento inspiegabilmente finito nello spam…)
ah beh, meno male che lo hai trovato, ciao
fuori c’è Dio
affronto tutto
con espressione di chi
non lascia intendere,
tradita da una lieve
increspatura delle labbra
è l’ultima superstite
di tante derisioni,
bastasse una pentola
a tenere ferme
le luci puntate
al lieto fine di creature cose
mai crocifisse abbastanza
quel che è mio è buio,
inutile stuolo di lenzuola
deragliate senza parlare
e aria dalla finestra aperta,
l’impresa è cambiare amore
in posizioni ambite,
la soglia senza casa
avrò un raffreddore,
forse nevicherà domani
dopo tanta luce,
fuori c’è Dio
ed è molto freddo
Che bella Flavio!
Si sente tutta la delusione, esposta con triste ironia (“bastasse una pentola… creature cose mai crocifisse abbastanza”) che non si inaridisce in sterile sarcasmo, ma rimane nella tensione di un lamento “lieve”, che non chiede compassione.
Questo rimanere fuori (sulla soglia, che è anche intenzione, inizio), svuotati, senza più voglia di reagire, né di imprecare o recriminare (anche se l’idea di un futuro tentativo e di un rilancio si intravedono, non sono negati, per quanto faticosi e inverosimili da qui…).
Incombe il freddo. L’inverno del cuore. Percepito, sì. Ma anche autoindotto (meccanismo di difesa di chi ha troppo sofferto, e troppo a lungo).
Le “lenzuola deragliate senza parlare” sono spettacolari.
grazie, mi sembrava in sintonia col tuo post
Lo è.
E mi ricorda qualcosa che ho vissuto.
Il mio “inverno” di 15 anni fa…
Ancora grazie e a presto.
Buone ferie.
P.
Non ci sono superfici né profondità raggiunte da Eros, che trovino lenimento. Hai ragione. Grazie, Ivanna.